La mia Storia – Giuseppe Trasatti

Ho iniziato a navigare dal 1963 al 1974 da allievo ufficiale a primo ufficiale di coperta attraverso tutti i mari della terra, e dal 1975 al 2013 al comando di mega yachts. Molto avrei da raccontare, voglio iniziare dal mio periodo sulle navi da carico.

A quei tempi non esistevano i GPS per la posizione della nave, i miei punti nave erano dovuti alle osservazioni delle stelle. In pratica si misurava con il sestante l’altezza della stella sull’orizzonte, badate bene che l’orizzonte doveva essere nitido per non fare errori di misurazione.

Quindi quando osservavo, la stella non si vedeva ad occhio nudo, si osservava ai crepuscoli: serotini e mattutini.

Qualcuno penserà: se la stella non si vede come fai a misurare la sua altezza? Semplice: si calcola l’azimut e la sua altezza stimata con delle tavole a soluzione diretta, si mette sul sestante l’alidada del valore dell’altezza. Si esce sull’aletta della plancia e in direzione dell’azimut vedi la stella in prossimità dell’orizzonte. Ogni stella osservata dà un luogo di posizione della nave; si osservano quattro stelle a 90° tra loro e l’incrocio dei quattro luoghi di posizione dà la vera posizione della nave.

E pensate che il punto nave con le stelle è più esatto rispetto a quello con il GPS.

A riguardo di ciò che dico voglio raccontarvi un fatto.

Siamo nel 1970 e facevamo i viaggi dal Giappone al Brasile, precisamente da Yokohama a Macapà sul rio delle Amazzoni. Il pilota non usciva a prendere la nave fuori dal fiume, aspettava dietro un ansa e poi saliva a bordo.

Di notte si arrivava alla fonda al largo del fiume, aspettavo il crepuscolo mattutini, asservavo le mie stelle e dal punto nave tracciavo una rotta perfetta nel mezzo del grande fiume.

Una volta entrati nel rio delle Amazzoni ,il pilota saliva a bordo e iniziava la navigazione fluviale fino a Macapà.

I Viaggi

Continuando nei miei ricordi sulle navi, mi viene alla mente i miei primi viaggi da allievo Ufficiale con rotte La Spezia- New York. Il 15 di Aprile

del 1964 arriviamo a New York e l’emozione fu tanta di fronte alla statua della libertà, alla vista delle torri gemelle e tutti quei grattacieli….. Finita la manovra di attracco, salgono a bordo le autorità per la libera pratica. L’immigrazione controlla il crew list che avevo preparato, per apporvi il pass che ti permetteva di scendere dalla nave, ad alcuni membri dell’equipaggio il pass veniva negato perchè avevano la tessera del PCI e quindi venivano relegati a bordo senza scendere nemmeno in banchina; e noi stavamo fermi 45 giorni per la caricazione del ferraccio. In quel periodo c’era l’EXPO di New York .

La domenica i portuali non lavoravano e quindi andai con alcuni miei colleghi a visitare l’EXPO. Nel padiglione del Vaticano vidi per la prima volta la Pietà di Michelangelo, una meraviglia.

Nel padiglione si entrava cu un nastro trasportatore che non ti permetteva di sostare davanti alla statua perchè tanta la gente che voleva entrare,

Pensate: lentamente il nastro ti porta dentro il padiglione completamente buio, con una musica celestiale , i proiettori che illuminano

questa scultura di marmo bianco, e tu piano piano passi di fronte e ammiri la bellezza, la vita e sempre piano piano la vedi scomparire come una stella lucente.

Al momento della partenza controllo che tutto l’equipaggio sia a bordo e vedo che mancano quattro membri, due marinai e due macchinisti.

Al momento delle pratiche della partenza informo l’addetto all’immigrazione che mi dice “ tranquilli sappiamo dove sono, stanno lavorando con le nostre ditte, abbiamo bisogno di buoni muratori, falegnami ,elettricisti ecc. Noi li seguiamo, finché lavorano tutto va bene per noi, se danno problemi ve li rimandiamo a casa. Era usanza in quei tempi ,imbarcarsi sulle navi da carico per arrivare in modo gratuito nei paesi oltreoceano dove c’era richiesta di operai specializzati. Ho sempre pensato che i clandestini erano voluti dai ceti alti. della società civile e a riprova di ciò che affermo, voglio raccontare di un altro fatto.

Il 10 marzo del 1070 imbarcai da da 1° ufficiale nel porto di Philadelfia, sulla costa orientale degli Stati Uniti. La nave trasportava coil,( grossi rotoloni di carta per le rotative dei giornali )da Quebec, un porto francofono del Canada all’entrata del San Lorenzo.

Facevamo tutti i porti orientali americani , i Caraibi, passavamo il canale di Panama per raggiungere Puntarenas ,porto di Costa Rica, dove sp scaricava l’ultima partita di coils. Terminata la scaricazione si continuava il viaggio sino al porto di Buenaventura, in Colombia. Caricavamo zucchero grezzo per la coca cola di New York. Ma veniamo alla storia dei clandestini, a cui accennavo prima. La sera del 15 giugno 1970 si parte dal porto di Santo Domingo, Repubblica Domenicana (isola Caraibica),diretti a San Juan di Puerto Rico.

Il mattino seguente alle 0800 vado in coperta per il normale giro d’ispezione. All’improvviso ,tra la mastra della stiva n° uno e la due ,vedo tranquillamente seduto un giovane di colore, un clandestino a bordo. Nella mia mente pensieri di cosa fare, avvertire le autorità di Puerto Rico per denunciare il fatto, ma il giovane clandestino leggendo nei miei pensieri dice : tranquillo capitano, quando arriviamo in porto gli amici mi vengono a prendere e scendo con loro. Facendo uno strappo alla regola ,diedi al giovane la cabina del pilota e visse con noi fino all’arrivo.

Attraccati al molo del porto e terminate le pratiche d’entrata con le autorità locali, una squadra di portuali salì a bordo per iniziare le operazioni di scarico dei coils. Il giovane clandestino si unì ai portuali a lavorare e alle 1700 terminato il turno di lavoro scese tranquillamente da bordo insieme ai suoi compagni.

Il 19 Settembre del 1970,imbarco a Boulogne, porto francese sullo stretto di Calais , da 1° Ufficiale. Si parte per andare a Monrovia a caricare minerale di ferro.

Monrovia, oltre ad essere la capitale della Liberia, è uno dei porti principali dell’Africa occidentale. Dopo nove giorni di navigazione si arriva a destinazione e terminate le pratiche di entrata si inizia a caricare il minerale di ferro.

La storia che racconto è triste ed ancora oggi , dopo 54 anni il pensiero mi rende malinconico. L’ultimo giorno della caricazione scendo spesso in banchina per controllare i pescaggi prodieri e poppieri in modo da stabilire l’assetto ideale della nave ai fini della stabilità.

A poche ore della fine della caricazione ,in un primo pomeriggio , si avvicina un uomo sulla cinquantina e mi racconta la sua storia che in breve riassumo : “ sono un pescatore marchigiano, mi hanno sequestrato la barca, i documenti e non mi permettono di rientrare in Italia, la mia vita è in pericolo, aiutami ad uscire da questo paese.”

Dopo un attimo di incertezza gli dico di salire a bordo e andare a prora nel gavone, dove avrebbe trovato un buon nascondiglio. Terminate le operazioni di carico, siamo in attesa del pilota, quando sale a bordo la gendarmeria. Il Comandante mi fa chiamare in plancia e il capo dei militari mi mostra la foto dell’uomo a cui io avevo suggerito di nascondersi a prora. 

Naturalmente risposi “ non l’ho mai visto “. I militari decisero di ispezionare tutta la nave. Io con i marinai iniziai da poppa mentre i militaro andarono a prora. Dopo poco vidi venire da prora i militari con in mezzo l’ uomo ricercato. I nostri sguardi s’incontrarono sullo scalandrone, poi scese scortato dai militari. Dopo mezz’ora venne il pilota a bordo e lasciammo il porto.

Tutt’ora mi chiedo cosa sia accaduto a quel pover’uomo.

Il viaggio continuò per il Giappone. Navigando di notte nello stretto di Malacca, il canale che separa l’Isola indonesiana di Sumatra dalla Malesia, c’era il pericolo dei pirati che assalivano le navi. La tecnica di abbordaggio era semplice due barche distanti tra loro ma unite da una cima. La nave passando libera in mezzo alle due barche, mettendo in forza la cima che le univa ,faceva sì che le barche dei pirati lentamente si affiancavano alle murate.

Il resto era un gioco salire a bordo e impadronirsi della nave. Il segreto era quello di puntare la prora su una luce delle due barche per costringerle ad avvicinarsi anziché ad allargarsi.

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